Cultura

Conta più l’unità di misura o la cosa misurata?

Illuminante questo intervendo del prof. Pietro Ratto su “Le vere radici che stiamo perdendo“. La “standardizzazione delle emozioni“, la “digitalizzazione del nostro vivere quotidiano“, la “razionalizzazione imperante”, “una standardizzazione di un valore che induce l’uomo a credere che conti più la misura che la cosa misurata“.

Consiglio di ascolatare tutto il video, sono solo cinque, intensissimi, minuti. Per chi non può ascoltare e per chi preferisce leggere ho provveduto a farne una trascrizione.

Consiglio di seguire il prof. Pietro Ratto sul suo sito Bosco Ceduo o sulla sua pagina Facebook.

https://www.youtube.com/watch?v=aa4FkjOLOCw

Sempre più spesso sento parlare delle nostre radici, del rischio di perderle queste nostre radici. Si parla delle nostre radici italiane per esempio, della nostra cultura, del nostro patrimonio artistico e delle nostre tradizioni; addirittura dei nostri prodotti artigianali, dell’abbigliamento, del cibo. Rivendicando sempre queste stesse radici nei confronti della globalizzazione, dell’ingerenza di entità politico-finanziarie allargate e sovranazionali, dell’intromissione europea o statunitense, della colonizzazione anglosassone.

Ecco, io credo che tutto ciò non sia sbagliato, per carità, ma che sia insufficiente, decisamente insufficiente. Che si continui a guardare la pagliuzza dimenticando opportunamente la trave. Quel che questi discorsi sistematicamente dimenticano infatti è che il nostro Paese, e come il nostro tanti altri, non è che il risultato di un raggruppamento più o meno forzato di entità geografiche, politiche, economiche, culturali, eccetera, che fino a poco più di 150 anni fa erano divise, rivali, nemiche.

Ci si dimentica che nel Medioevo la nostra Genova esercitava a livello internazionale, e di conseguenza sulle altre città della nostra stessa penisola, un’egemonia economica pari o addirittura superiore a quella che oggi gli Stati Uniti esercitano sul mondo. Ci si dimentica dell’odio tra genovesi e veneziani, tra veneziani e milanesi, tra Milano e Firenze, nel Medioevo.

Quell’accozzaglia di stati e staterelli che noi oggi chiamiamo Italia ha mai trovato una sua vera unità? La sua metà settentrionale quanto mai ha prosperato per esempio sullo sfruttamento della metà meridionale. No, no. Le radici che stiamo perdendo quelle che ci stanno realmente sottraendo sono ben altre ben più profonde ben più vitali e si riassumono in un termine solo: Umanità. La vera globalizzazione quella più insidiosa e tremenda è infatti la standardizzazione delle emozioni operata dai media e dalle loro mode.

La digitalizzazione del nostro vivere quotidiano imprigionato dalla tecnologia in una gabbia di steril-numeri, la spersonalizzazione indotta da un lavoro dequalificato e precario, l’omologazione delle nostre differenze individuali messa in atto da un sistema scolastico criminale. In sintesi la razionalizzazione imperante. Quella che azzera le sfumature quella che trasforma in numeri i colori, le emozioni, i tratti di un volto e che sottende alla nostra malata esigenza di monopolio, di chirurgia estetica ed etica.

La globalizzazione razionalizzate che soffoca e rigetta ogni dimensione emotiva che non sa definire, che uccide la meditazione, la ricerca del senso a beneficio del calcolo e della convenienza che ha cancellato in noi ogni residuo istintiale, che ha silenziato la voce del cuore. Ogni volta che scattiamo una foto, per esempio, a questo mondo così pieno di quella bellezza che non sappiamo definire, traduciamo in numeri il paesaggio o il volto che abbiamo di fronte, lo compriamo lo inscatoliamo in un formato digitale, troncando ogni riflesso ogni minima sfumatura che non si presti a suddividersi tra un bit e l’altro.

E l’ironia di questa condizione così amara e che chiamiamo soggetto quel che la Camera riprende quel che inevitabilmente trasformiamo invece in semplice e banale oggetto in un qualcosa da conservare in tasca e da mostrare agli amici. La soggettività sparisce, si annulla, svapora. Il processo di oggettivizzazione del mondo, questo mondo lo sta uccidendo. Il nostro voltarci a razionalizzarlo ci ha trasformati in miliardi di statue di sale. Contro il dogmatismo un’informazione del credo, la massificazione delle opinioni, urge un’imprescindibile destandardizzate laicità, quella laicità capace di restituire a ognuno il proprio spazio personale la propria ricerca individuale la propria particolare e irripetibile risposta. La laicità del credo la laicità delle emozioni la laicità dei sentimenti.

Anche le radici economiche possono consistere in un grande inganno dopotutto non basta una moneta nazionale: la nostra moneta; è un passo, sì uno slegarsi, un percorrere al contrario il senso della frana, ma la moneta in sé resta comunque una forma di fredda razionalizzazione, una standardizzazione di un valore che induce l’uomo a credere che conti più la misura che la cosa misurata. Il suo reclamarla a gran voce cela l’insidia di questa grave confusione che consiste appunto nello scambiare un parametro di valutazione con l’oggetto che viene valutato.

Una valuta infatti dovrebbe essere un mezzo, uno strumento per valutare un bene, e invece diventa un fine. Il fine di ogni azione: il fine di un matrimonio, di ogni relazione, il fine di una vita intera e il dramma di un mondo che scambia il mezzo con il fine diventa il dramma della moneta che manca. Come se passeggiando in un bosco ci trovassimo a soffrire la mancanza degli alberi solo perché momentaneamente privi di un metro con cui misurarne l’altezza: il numero. Il numero è diventato tutto. La quantità da Galilei in poi ha sottomesso il mondo e le sue innumerevoli qualità.

Perfino Kant ci è cascato definendo la qualità come una sottospecie di quantità e invertendo in tal modo quel naturale e originario rapporto che Platone aveva ben individuato in un tempo che trasforma in numeri i colori che parametrizza la bellezza che digitalizzata le emozioni la vita agonizza. Esattamente come con l’uomo in mare incapace di nuotare che pretendessimo di soccorrere lanciandogli un assegno da 10.000 euro. Buonasera.

Foto: Butterfly di John Fowler

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